I testi narrativi

Redazione del testo: Gabriele Pallotti

Tipicamente, una testo narrativo contiene un’ambientazione e uno o più episodi che riguardano il personaggio o i personaggi. L’ambientazione può essere detta anche sfondo della narrazione: si tratta delle circostanze preesistenti all’inizio del racconto o di quelle in cui hanno luogo i vari episodi narrativi. Gli episodi, o eventi, costituiscono invece la trama: sono le cose che ‘accadono’ ai personaggi. I diversi episodi sono spesso motivati dalle reazioni dei personaggi ad altri episodi precedenti: qualcosa accade, un personaggio ne fa una valutazione cognitiva e mette in atto dei comportamenti conseguenti. Ad esempio si crea una situazione problematica, il protagonista la valuta come negativa e mette in atto vari tentativi per risolverla.
Questa sequenza situazione problematica-reazione psicologica-azione conseguente costituisce uno schema alla base di molte storie. Gli schemi sono strutture astratte, generali, che servono per organizzare e ricordare le esperienze: ne esistono per tutti gli oggetti, ma anche per sequenze di azione abituali, come andare al ristorante o stare in classe. Gli schemi narrativi si riferiscono alle storie, al modo canonico in cui esse si svolgono: naturalmente, uno scrittore abile e particolarmente creativo può infrangere gli schemi in molti modi, ma resta il fatto che la maggior parte delle storie, soprattutto quelle infantili, segue schemi ricorrenti.
Il testo di una storia consiste, altre che nell’ambientazione, del resoconto di una serie di eventi, che viene detta intreccio. L’intreccio può riprodurre fedelmente la fabula, cioè l’ordine cronologico degli avvenimenti, uno dopo l’altro; a volte abbiamo intrecci più complessi, che seguono un ordine diverso dalla fabula: è il caso dei flah-back, delle anticipazioni, delle ellissi di certi eventi che saranno svelati e raccontati in seguito, e così via.
Sempre nell’ambito dell’analisi del testo narrativo, si è soliti individuare delle unità chiamate sequenze: dei blocchi di azioni e eventi che hanno una coerenza logica, che si presentano quindi in modo unitario. Allo stesso modo, per analizzare questo tipo di testi bisogna identificare dei personaggi e, soprattutto, quali sono i loro ruoli nell’economia generale del racconto: a partire dalle analisi di Propp sulle fiabe, si è visto che, a un certo livello di astrazione, moltissime narrazioni (e non solo quelle del folklore popolare) si presentano come il gioco di vari ruoli che interagiscono tra loro in forme più o meno variate. Tra questi ruoli ricorrenti ci sono ad esempio quello dell’eroe, o protagonista, quello dell’antagonista, degli aiutanti dell’uno e dell’altro, della vittima che subisce gli eventi.
Infine, in una narrazione si possono distinguere due componenti o scenari: quello delle azioni e quello dellacoscienza (Bruner 1991). La storia infatti, come si è visto, può essere raccontata come una serie di eventi che sono motivati da stati psicologici dei personaggi. Diversi generi testuali o stili individuali possono privilegiare maggiormente le dinamiche azionali o quelle psicologiche, ma queste ultime non sono mai del tutto assenti nei racconti degli adulti, se non altro come inferenze da trarre per dare un senso logico al comportamento dei personaggi.
Sviluppo della competenza narrativa

La competenza narrativa si sviluppa gradualmente durante l’infanzia. I bambini fino a 4-5 anni raccontano le storie essenzialmente in termini di azioni che si susseguono. A volte queste azioni sono interpretate mediante la volizione (Tizio fa questo perché vuole …), ma raramente con interpretazioni più complesse (Tizio fa questo perché pensa/crede/spera che…). A questa età le storie sono piuttosto brevi e consistono sostanzialmente di una o due sequenze in cui un protagonista compie una serie di azioni. Tra 5 e 8 anni si riconoscono e attribuiscono ad altri emozioni complesse come la vergogna, l’orgoglio, il senso di colpa. Verso i 5 anni si inizia a capire anche la logica del travestimento: ad esempio che un gattto rimane tale anche se porta la maschera di un cane, o che un cavallo dipinto a strisce resta un cavallo e non diventa una zebra, o che il lupo travestito da nonna resta il lupo e non diventa la nonna.
I bambini più grandi, verso i 10 anni, capiscono in genere bene la logica emotiva del racconto e le dinamiche psicologiche che spiegano le azioni dei personaggi. Anzi, è stato dimostrato che i lettori di 11-12 anni che hanno punteggi più alti nei test di comprensione sono ancque quelli che riescono a empatizzare con i personaggi e interpretare i loro stati interni. Tuttavia, non è detto che, ancora a questa età (e in certi casi per tutta la vita), le narrazioni prodotte indulgano in molte analisi psicologiche, limitandosi spesso a un’espozione degli eventi.
Per quanto riguarda il riferimento alle entità, i bambini più piccoli spesso introducono i personaggi per la prima volta, invece che con sintagmi nominali indefiniti (c’era una bambina), con sintagmi definiti (c’era la bambina) o addirittura con pronomi (nel film c’era lei che voleva….) o soggetti-zero (Ho visto un film dove [0] andavano …). In questi casi, presuppongono che l’interlocutore sappia di chi e cosa si stia parlando, anche se ciò non è vero. In altri casi, avviene esattamente il contrario: usano sintagmi pieni ed espliciti anche dove sarebbe sufficiente un pronome o un’anafora zero: C’era una bambina che viveva nel bosco. Un giorno la bambina andò a passeggiare. La bambina era molto felice). Entrambi i fenomeni riflettono una difficoltà di fondo a comprendere il punto di vista dell’interlocutore, ciò che egli sa o non sa, ciò che è noto e ciò che è ignoto. Col passare degli anni questi fenomeni diminuiscono e, verso i 10-11 anni, scompaiono quasi del tutto. Essi però permangono nei soggetti – bambini, adolescenti e adulti – che si esprimono attraverso il “codice ristretto” (Bernstein), cioè assumendo costantemente che l’interlocutore condivida i propri riferimenti e presupposizioni, producendo così una comunicazione del tutto o parzialmente implicita.