Prima osservare, poi intervenire. Il progetto si chiama Osservare l’interlingua proprio perché si parte sempre da un’osservazione delle produzioni linguistiche. Una buona didattica deve basarsi su un’analisi attenta e sistematica di ciò che gli alunni sanno fare, di ciò che non sanno fare ma su cui stanno compiendo degli sforzi, e di ciò che non sanno fare e sembra essere al di là dei loro obiettivi di apprendimento. L’analisi deve riguardare prima di tutto le funzioni comunicative, ciò che gli alunni vogliono esprimere, e poi le forme con cui esse sono realizzate.
Una valutazione formativa. Questa osservazione è una forma di valutazione formativa: osservare i bambini serve prima di tutto all’insegnante, per capirli e per predisporre interventi mirati ed efficaci. E’ una valutazione in positivo, che guarda prima di tutto cosa c’è, cosa gli apprendenti sanno fare, e solo in seguito ciò che manca, i loro bisogni. E’ una valutazione non solo dei prodotti, ma anche dei processi cognitivi e sociali, delle strategie, dei tentativi di formulare ipotesi, che richiede una chiara comprensione della psicolinguistica dell’apprendimento.
Obiettivi didattici. Gli interventi didattici mirano prima di tutto a sviluppare la competenza comunicativa, cioè la capacità di esprimersi in diversi contesti, con diversi scopi e con diversi interlocutori. E’ competenza comunicativa anche sapere estrarre le idee da un testo scritto, saperle organizzare in modo logico, sapere costruire un discorso complesso e preciso, insomma tutte le forme della comunicazione scolastica. Attraverso un uso maturo e consapevole del linguaggio si impara a pensare, a conoscere, a esercitare i propri diritti nella società, ed è questo l’obiettivo primario del nostro lavoro. Un secondo obiettivo è l’accuratezza formale, il non fare errori che, anche quando non disturbano la comunicazione, compromettono l’estetica del testo e comportano stigmatizzazioni sociali.
Approccio cognitivo. Si parte dalla comprensione dei processi con cui gli alunni, autonomamente e attivamente, cercano di ricostruire le regole della lingua italiana. Dunque anche l’approccio didattico sarà volto a favorire l’autonomia, la ricerca attiva di regole e regolarità, la scoperta intelligente, la riflessione funzionale. I bambini devono compiere i loro esperimenti, valutare le opzioni, riflettere prima di scegliere la variante migliore, in un clima di gioco intelligente. Per comprendere i fenomeni linguistici gli alunni sono spesso invitati a usare vari tipi di oggetti e manufatti, che consentano una mediazione semiotica del pensiero: ‘smontare e rimontare’ concretamente frasi e testi, mediante carta, cartone, forbici, colla o il computer, favorisce una rappresentazione semplice e concreta di fenomeni complessi e astratti.
Lavoro di gruppo. In questa sperimentazione, la maggior parte delle attività sono svolte a piccolo o grande gruppo. Seguendo Vygotsky, siamo infatti convinti che le operazioni cognitive più complesse si sviluppino prima di tutto attraverso il dialogo e il confronto con gli altri, per poi essere interiorizzate nella mente individuale. I gruppi sono formati in modo da includere alunni di diverso livello e con diverse competenze, nativi e non nativi: chi ha maggiori difficoltà impara dall’esposizione all’input di chi è più abile, ed è dimostrato che gli apprendenti prestano più attenzione ai pari che agli insegnanti. Il modello è una didattica inclusiva, che tenga insieme tutta la classe e che promuova la socializzazione e l’integrazione: piuttosto che creare attività diversi per diversi gruppi e livelli, si propongono attività uguali a cui tutti possano contribuire in modo diverso e da cui tutti possano imparare qualcosa, anche se non necessariamente la stessa cosa.
Autonomia e metacognizione. Si cerca di promuovere l’autonomia degli alunni, lasciando che siano loro a formulare ipotesi, alternative e revisioni. L’insegnante propone le attività e gli obiettivi, modera il lavoro dei gruppi, coordina i processi di condivisione e interazione nel gruppo-classe, ma non interviene direttamente sulla produzione degli allievi. In questo modo essi sono stimolati, attraverso attività specifiche e il confronto con i compagni, a valutare sempre i propri testi, cercando di migliorarli.
Terminologia minima. Gli alunni sono invitati a discutere e riflettere su fatti linguistici e comunicativi con parole loro, che abbiano senso per loro. La terminologia tecnica viene introdotta solo se è strettamente necessaria ed è limitata ai termini per indicare classi di parole (come verbo, nome, aggettivo, articolo) e pochi altri fenomeni. Si invitano gli alunni, soprattutto nella scuola primaria, a creare le loro etichette per parlare dei fenomeni, in modo che le possano capire e trovare funzionali al processo di analisi e comprensione.
Motivazione. La motivazione degli alunni viene sostenuta in primo luogo proponendo attività intelligenti e lasciandoli liberi di trovare da soli le soluzioni. Anche l’approccio cooperativo, ludico, operativo e concreto fa sì che la riflessione sulla lingua non sia un esercizio noioso e meccanico ma diventi un’occasione per compiere scoperte e mettersi alla prova. In generale, si preferisce lavorare a lungo su pochi testi, analizzandoli a fondo, smontandoli e rimontandoli in vari modi: i bambini si sentono più motivati a perfezionare i loro prodotti e ad affinare le loro scoperte, anche nel corso di molte sessioni di lavoro, piuttosto che disperdersi in tanti ‘esercizi’, ‘schede’ e ‘attività’ scarsamente collegati tra loro.