Silvia Cattani, Gabriele Pallotti
Il sistema dei passati in italiano
L’azione verbale
L’azionalità riguarda le proprietà semantiche intrinseche di un verbo, che forniscono informazioni sul tipo di evento predicato dal verbo. Questa categoria, definita anche Aktionsart, azione verbale, aspetto inerente o aspetto lessicale – per distinguerla dall’aspetto grammaticale, cui peraltro è strettamente legata – comprende tre parametri fondamentali:
· la telicità. Si può distinguere tra verbi intrinsecamente orientati al raggiungimento di un fine, detti telici (ad esempio, arrivare, dipingere un quadro) e verbi caratterizzati dall’assenza di un culmine proprio del processo che descrivono, detti atelici (ad esempio, dipingere, camminare);
· la duratività. I verbi dell’italiano possono essere disposti lungo un continuum ideale, ai cui due estremi si trovano, da una parte, i predicati dotati di una natura interna protratta nel tempo, definiti verbi durativi (ad esempio, dormire, crescere), dall’altra, i predicati dalla natura interna istantanea, in cui momento iniziale e finale idealmente coincidono, detti non durativi (ad esempio, cadere, esplodere);
· la stantività. Si può distinguere tra verbi che descrivono eventi suscettibili di interruzione, detti dinamici (ad esempio, lavorare, stirare) , e verbi che indicano qualità e condizioni non passibili di interruzione, detti stativi (ad esempio, possedere, essere felice).
Intersecando i tre tratti semantici, si individuano quattro classi azionali, all’interno delle quali, attraverso specifici procedimenti, possono essere ricondotti i verbi della lingua italiana:
· verbi sostantivi(states) – classe stativa: hanno durata; non hanno dinamicità e telicità (ad esempio, sapere, possedere, amare);
· verbi di attività (activity terms) – classe continuativa: hanno durata e dinamicità; non hanno telicità (ad esempio, camminare, lavorare, prendere il sole);
· verbi di compimento(accomplishment terms) – classe risultativa: hanno durata, dinamicità e telicità (ad esempio, fare la doccia, imparare, salire le scale);
· verbi di raggiungimento (achievement terms) – classe trasformativa: hanno dinamicità e telicità; non hanno durata (ad esempio, riconoscere, esplodere, frantumarsi).
Tempo e aspetto
La grammatica tradizionale chiama ‘tempi’ tutte le diverse forme del verbo, ma questo genera fraintendimenti. Infatti, a rigore, i tempi sono solo tre: passato, presente e futuro. Passato prossimo, passato remoto e imperfetto, ad esempio, non si riferiscono a tre tempi diversi (sono tutti e tre dei passati), ma piuttosto a diversi aspetti, cioè diversi modi di rappresentare il modo in cui si svolge un evento. I principali aspetti codificati dalla morfologia verbale in italiano sono:
· perfettivo puntuale (= passato remoto)
· perfettivo compiuto (= passato prossimo)
· durativo (= presente, imperfetto)
· progressivo (= imperfetto, gerundio)
· abituale (= presente, imperfetto).
Mentre l’azionalità è una caratteristica intrinseca del verbo, che ha a che fare con il suo significato, l’aspetto viene espresso dalla morfologia, ossia dalle varie forme di coniugazione. Le due dimensioni sono collegate, nel senso che verbi con un certo tipo di azionalità tendono a essere coniugati con un certo tipo di aspetto. Un verbo stativo, ad esempio, come essere o avere si incontrerà più frequentemente nella forma imperfettiva (ero, avevo) che in quella perfettiva (sono stato, ho avuto). Parimenti, verbi di compimento o raggiungimento, come dipingere un quadro o cadere, si troveranno più spesso coniugati con aspetti perfettivi quali passato prossimo o remoto (dipinse un quadro, sono caduto). I verbi di attività possono apparire con uguale frequenza in forma perfettiva o imperfettiva, esprimendo diversi modi di concettualizzare l’evento: se dico ieri ho camminato per due ore rappresento l’evento come un fatto compiuto, concluso, con dei limiti precisi; se dico invece ieri mentre camminavo ho incontrato Gianni rappresento l’evento nel suo svolgersi in quanto attività, sullo sfondo della quale si verifica un evento puntuale come l’incontro.
Proprio una differenza di valore aspettuale è alla base del diverso uso in italiano di passato prossimo/remoto da un lato, imperfetto dall’altro: “l’imperfetto ed il passato prossimo/remoto sono caratterizzati dai tratti opposti della indeterminatezza e della determinatezza relativamente alla visualizzazione della conclusione dell’evento” (Lo Duca 2004, p. 140).
· L’imperfetto esprime un evento di aspetto imperfettivo.
Un evento si definisce in dimensione imperfettiva quando viene presentato:
· nel suo svolgimento/imperfetto progressivo:
es. Camminavamo di fretta (stavamo camminando) quando incontrammo un vecchio amico;
· nella sua abitualità e ricorrenza/aspetto abituale:
es. Quando frequentavo l’università, prendevo tutti i giorni il treno;
· come un’attitudine, un’inclinazione:
es. Mia nonna era una brava sarta;
· nella sua continuità/aspetto continuo:
es. Mentre l’insegnante correggeva i compiti, gli studenti ripassavano in silenzio la lezione.
· I passati prossimo e remoto esprimono, invece, un evento di aspetto perfettivo. Un evento espresso si definisce in dimensione perfettiva quando viene presentato:
· nella sua globalità:
es. Ho conosciuto i genitori del mio fidanzato;
· nella sua conclusa compiutezza:
es. La polizia catturò i malviventi.
La differenza tra passato prossimo e remoto è più sfumata. Nell’italiano standard, e nella varietà di italiano centro-meridionali, essi esprimono rispettivamente la perfettività compiuta, che ha ancora effetti sul presente (passato inclusivo) e la perfettività aoristica, assoluta (passato definitivo). Dirò dunque I francesi hanno costruito il ponte sul fiume, intendendo che il ponte è ancora lì e lo possiamo vedere ancora oggi; se dico i francesi costruirono il ponte sul fiume mi concentro sulla loro azione del costruire, che si è conclusa in un tempo passato, senza implicare nulla circa l’esistenza presente di quel ponte. Infatti, si può dire i francesi costruirono nel 1805 il ponte sul fiume, che usiamo ancora oggi (rappresento l’atto del costruire come evento definito) ma anche i francesi costruirono nel 1805 il ponte sul fiume, che è andato distrutto durante la guerra (l’atto del costruire è sempre rappresentato come evento definito, anche se le sue conseguenze oggi non permangono più); all’opposto, non si può dire i francesi hanno costruito nel 1805 il ponte sul fiume, che è andato distrutto durante la guerra perché hanno costruito implica degli effetti che perdurano nel presente.
La differenza tra passato remoto e passato prossimo, dunque, non ha nulla a che fare con la distanza temporale dal presente, come si insegna a scuola e come la terminologia tradizionale suggerisce. Bertinetto (2001) suggerisce infatti di rimpiazzare questi due termini fuorvianti con quelli più neutri di perfetto semplice e perfetto composto, che si riferiscono solo alla forma del verbo, in analogia con il passé composé e passé simple del francese. Chi conosce l’inglese si renderà conto che l’opposizione aspettuale italiana ricalca esattamente quella in inglese tra present perfect e simple past.
Nelle varietà settentrionali di italiano, e in generale nell’italiano standard contemporaneo, questa distinzione aspettuale tende a scomparire, mentre passato remoto e passato prossimo vanno sempre più specializzandosi per esprimere diversi generi testuali: il primo è associato alla narrativa e alla storia, mentre il secondo alla cronaca di eventi reali e della vita quotidiana. Troveremo dunque Cappuccetto rosso disse, incontrò, vide…. vs. Mario (o il Presidente del Consiglio) ha detto, ha incontrato, ha visto….
Vale infine la pena ricordare che , per esprimere l’aspetto verbale, l’italiano dispone anche di mezzi non morfologici (Serianni & Castelvecchi 1989, p. 391):
– mezzi sintattici, come la perifrasi progressiva stare + gerundio;
– mezzi lessicali (addormentarsi, ad esempio, ha valore ingressivo, indicando l’inizio dell’azione; dormire ha invece valore durativo, indicando l’azione in sé);
– mezzi derivativi (ad esempio, attraverso il suffisso -icchiare un verbo può designare un’azione ripetuta e attenuata, come in dormicchiare).
I paradigmi dei verbi al passato
La congiugazione dell’imperfetto è di solito molto regolare e consiste nell’inserzione del morfema -v- tra il tema verbale e la desinenza di persona (mangia-v-o, legge-v-i, dormi-v-ano, ecc).
Il passato prossimo si forma con un ausiliare più il participio passato. La forma del participio è data nella maggioranza dei casi della prima coniugazione dall’aggiunta del morfema -to al tema verbale (mangia-to, cammina-to). La terza coniugazione presenta sia forme regolari costruite sempre con l’aggiunta di -to alla base tematica (capi-to, usci-to) ma anche forme irregolari in cui la base del verbo cambia (detto, aperto). I participi della seconda coniugazione sono i più complessi: la forma ‘regolare’ richiede comunque un cambiamento della vocale tematica, che dalla -e- del presente diventa -u- (bev-u-to, sap-u-to), ma sono presenti numerosi forme irregolari in cui può cambiare sia la base tematica sia il suffisso (messo, sceso, preso ecc).
Come è noto, la coniugazione dei verbi al passato remoto è spesso causa di problemi anche negli alunni più avanzati. In effetti, i paradigmi di questa forma verbale sono estremamente complessi. Anche i verbi cosiddetti regolari hanno comunque forme diverse per le tre coniugazioni, ma esiste un ampio numero di verbi irregolari in cui la base lessicale del verbo cambia forma dal presente/infinito al passato remoto (Salvi, Vanelli 2004: 103-4). Ad esempio, i verbi che nella forma non marcata del presente terminano con consonante alveolare (chiedere, ridere) o affricata palatale preceduta da -n-, -r- o -l- (piangere, volgere, scorgere) producono una base per il passato remoto terminante in -s- (chiesi, risi, piansi, volsi, scorsi). Se la forma del presente termina in -gn- o -gl- (spegnere, scegliere) abbiamo una forma tematica che finisce in -ns- o -ns- (spensi, scelsi). In alcuni casi la consonante finale raddoppia (cadere-caddi; piovere-piovve), in altri ancora cambia la vocale rispetto al presente (vedere-vidi, mettere-misi). Come si vede, alcuni di questi cambiamenti ‘irregolari’ sono in realtà abbastanza regolari, cioè prevedibili una volta data la radice del verbo. E’ questo che spiega certi errori degli alunni, che sovraestendono a forme inappropriate generalizzazioni che valgono per altre classi di parole (io cadetti, io piangei).