Scrivere un testo è un’attività molto complessa, che si può dividere in almeno tre grandi fasi, che già avevano identificato gli antichi.
Invenzione (inventio). Come prima cosa occorre generare le idee o raccoglierle dalle fonti, identificando cosa c’è da dire. Se non si ha nulla da dire, o poco, o non è chiaro cosa si ha da dire, non c’è nemmeno il testo. Le cose da dire possono provenire dalla nostra mente (e in tal caso si parla di un brainstorming, far frullare il cervello) oppure da fonti che consultiamo. Le idee così generate saranno raccolte in gruppi omogenei, vere e proprie ‘scatole concettuali’.
Disposizione (dispositio). Una volta raccolte le idee, occorre dare loro un ordine efficace. ‘Efficace’ può voler dire massimamente chiaro e lineare, se lo scopo è la chiarezza; ma possiamo anche scegliere ordini un po’ meno chiari che però hanno altri scopi, ad esempio soprendere, tenere desta l’attenzione, convincere. In questa fase le idee saranno organizzate in una scaletta.
Redazione (elocutio). Stabilito l’ordine in cui appariranno le idee, occorre scriverle in frasi, cioè generare la forma linguistica del testo. Questa forma dovrà essere precisa, chiara e corretta: saranno pertanto necessarie diverse revisioni per metterla a punto.
Le prime due fasi riguardano principalmente il pensare: la scrittura vi svolge un ruolo importantissimo, perché aiuta il pensiero a organizzarsi, a vedere le idee e giocarci, ma è un ruolo strumentale alla presa di appunti e la stesura di schemi. Solo la terza fase riguarda effettivamente lo scrivere un testo. E’ essenziale tenere le due fasi ben separate: prima si pensa, poi si scrive il testo. Molte persone, anche ben scolarizzate, non hanno ancora capito questo principio fondamentale, e mischiano le due attività: pensano a un’idea, la scrivono, poi cercano di farsene venire in mente un’altra, la scrivono, poi rileggono cosa hanno scritto fin lì, provano a generare un’altra idea, ma si accorgono che forse stava meglio prima e allora cominciano a cancellare, a mettere frecce e asterischi, a riformulare le prime due sezioni. Il risultato è spesso un testo incoerente, con una logica puramente associativa e senza una chiara struttura globale; oppure, se si riesce a dargli una struttura coerente, ciò avviene a prezzo di un processo redazionale inutilmente lungo e faticoso.
Le prime due fasi si possono descrivere come pensiero assistito dalla scrittura; la terza come scrittura che si basa su un pensiero chiaro e ben organizzato.
Gli scrittori inesperti, che non tengono separate queste fasi, seguono la strategia dello “scrivere ciò che si sa“: man manno che generano le idee le scrivono, più o meno nell’ordine della loro apparizione, senza un piano complessivo. Gli scrittori più esperti invece usano la scrittura per “trasformare ciò che si sa”: la possibilità di annotare le idee e organizzarle in vari modi è uno strumento indispensabile per sviluppare il pensiero logico, complesso, paradigmatico, che non sarebbe possibile con una pura oralità (Bereiter e Scardamalia 1987).
Le prime due fasi del processo di scrittura servono a dare coerenza del testo, cioè la logica che connette le idee tra loro in modo sensato e comprensibile. Nella terza fase ci si preoccupa della coesione, cioè degli indicatori linguistici che segnalano i rapporti tra diverse parti del testo. Tra questi meccanismi coesivi segnaliamo:
– La ripetizione del referente, come ad esempio in Gianna ha molti amici. Il suo migliore amico è un ballerino.
– I pronomi. Il pronome si riferisce o a un’entità che può essere individuata o nel contesto extralinguistico (è stato lui, indicando una persona presente) o nel contesto linguistico (Giovanni si vergnogava molto. Era stato lui a rompere il vetro). Nel primo caso si parla di riferimento deittico, cioè ricostruibile mediante un gesto che indica qualcosa; nel secondo di riferimento anaforico, cioè che si comprende facendo riferimento a una porzione di testo enunciata precedentemente.
– L’anafora zero. In italiano è possibile sottindere il soggetto di una frase, se esso può essere facilmente ricostruito dal contesto linguistico. In questi casi si dice che la forma anaforica non è un pronome, ma ‘zero’, come in Mara è molto sportiva: [0] ha vinto tante medaglie.
– Sinonimi, iponimi e iperonimi. Ci si può riferire alla stessa entità usando parole di significato uguale (sinonimi, che però non sono quasi mai perfettamente equivalenti, ma implicano sempre qualche sfumatura di significato diversa), o parole di significato più generale (iperonimi) o più specifico (iponimi). Ad esempio: Le pareti degli edifici moderni sono molto sottili, mentre i muri degli antichi palazzi erano molto spessi (sinonimia); Nel mio giardino c’è un vecchio tiglio: è un albero maestoso (iperonimia); Vedi quell’albero laggiù? E’ il tiglio più grande d’Italia (iponimia).
– Connettivi testuali. Diverse parole servono per segnalare i collegamenti tra diverse parti del testo, indicando relazioni temporali (dopo, poi, prima di, quando), causali (perché, siccome, dato che), argomentative (dunque, pertanto, tuttavia) e molte altre. Spesso si gli insegnanti si lamentano che gli alunni non sanno usare bene i connettivi: tuttavia, occorre chiedersi se dietro a un connettivo usato a sproposito ci sia davvero un’incapacità d’uso del connettivo o piuttosto un’incomprensione del legame che unisce i concetti. Di solito i ragazzi usano male i connettivi quando parlando di argomenti che conoscono poco, come la storia antica, mentre non troviamo quasi mai una confusione tra inoltre, perché e infatti se stanno parlando del loro sport preferito. Insomma, il più delle volte i problemi stanno nella scarsa coerenza delle idee, e non nella scarsa conoscenza delle forme linguistiche che le esprimono.
I mecccanismi coesivi si trovano sia nei testi orali che in quelli scritti: in entrambi i casi servono a manifestare la coerenza tra diverse parti del testo, la loro continuità tematica. Per questo, è particolarmente importante il modo in cui viene gestito il riferimento alle entità. Quando si introduce un referente nuovo nel testo, esso viene indicato normalmente con un sintagma nominale indefinito (C’era una bambina…). Le successive menzioni possono avvenire mediante pronomi (… e tutti le volevano molto bene; e tutti parlavano sempre con lei) o anafore zero (… Un giorno [0] si svegliò di buon ora): si parla in questi casi di catene anaforiche, o referenziali. Se il flusso di eventi riguardante quel personaggio si interrompe, perché si introducono altri personaggi o si danno informazioni di ambientazione, quando si riprende il riferimento ad esso ciò avviene con un sintagma nominale pieno, come nella prima introduzione, ma con determinante definito (la bambina). Ovviamente questi meccanismi funzionano anche con testi non narrativi e con riferimento a entità inanimate: Abbiamo preso una bacinella piena d’acqua. La abbiamo appoggiata su un tavolo. Poi abbiamo tagliato a fette delle mele e delle pere e le abbiamo messe dentro la bacinella.